Renato Birolli e l’estate del 1952

(da Ameglia Informa di aprile 2024)

Renato Birolli

Renato Birolli (foto a destra) è una figura troppo complessa per essere riassunta in poche righe, ma un accenno al suo rapporto con la Liguria di levante forse può essere degno di essere ricordato.

Birolli ha fatto parte in modo sistematico e continuo del rinnovamento della pittura italiana dagli Anni Trenta fino alla morte (maggio 1959) Egli è’ stato insieme a Enrico Prampolini, Lucio Fontana, Alberto Burri, Emilio Vedova, Ennio Morlotti un ponte tra la cultura italiana e quella europea (francese soprattutto) e quella americana, dove ha esposto più volte negli Anni Cinquanta, risultando tra i pochi italiani ad esservi accolti con successo. Prima di conoscere Manarola, Birolli era transitato da Bocca di Magra, dove nel 1952 aveva dipinto alcuni lavori importanti. Siamo nell’anno della costituzione del Gruppo degli Otto accolto sotto l’ala protettrice del critico Lionello Venturi. Questo gruppo formato da molte fra le voci degli astrattisti che avevano militato nel Fronte Nuovo delle Arti andava ricercando una propria via di astrazione concreta (per usare la definizione che ne diede Venturi, tale che si riallacciasse da un lato alle istanze delle avanguardie storiche europee e, dall’altro, non rifiutasse il rapporto con la realtà e con la dimensione interiore dell’artista.

A Bocca di Magra, come ricorda Achille Cavellini (tra i maggiori collezionisti dell’astrattismo italiano), i suoi soggetti erano stat il mare, il paesaggio fluviale, le pesche notturne con le lampare. Nella stanza di una piccola casa di fronte al fiume Cavellini vide nascere Verde e blu per la Liguria che annunziava la formazione del linguaggio successivo del pittore e che parve opera perfetta al collezionista che, infatti, subito ne fece acquisto. Curiosa la testimonianza dello stesso Birolli a proposito dei rapporti non idilliaci con le persone che frequentavano le sponde del fiume: “Ho passato giorni grami, amari d’insoddisfazione. Ora sono così non so cioè come. Vivo solo, con l’unico contatto dei buoni compagni di Carrara e peschiamo di notte insieme. Con la riva destra non ho rapporti, nemmeno visivi. Non posso più soffrire gli intellettuali anticomunisti, che sanno tutto e forse criticano di vedere un comunista come me concedere alla propria famiglia svago e sanità corporale” (dalla lettera a Ernesto Treccani, da Bocca di Magra, ferragosto 1952).  Era l’agosto del 1952 e si era consumata proprio da poco la spaccatura dolorosa tra astrattisti e realisti, facendo disperdere le esperienze pluraliste e ondivaghe del primo momento di unione fra gli artisti di varie tendenze linguistiche, che aveva trovato la sintesi fra Milano e Venezia, proprio grazie al contributi di grandi talenti come Birolli, Guttuso, Vedova, Pizzinato, Turcato, Corpora.

Si era aperto un vulnus acceso di discussioni e di prese di posizioni, radicali in entrambi i fronti, tanto da decretare la fine di amicizie storiche e di comune militanza politica , come quella ad esempio fra Pizzinato e Vedova.

Su entrambi i fronti, molti erano gli iscritti al Partito Comunista, in seno al quale tuttavia la svolta astratta non aveva trovato la giusta accoglienza, e anzi era stata osteggiata con dure parole da Togliatti e Alicata.

L’ortodossia estetica marxista si basava allora sul pregiudizio concettuale che le masse dovessero e sapessero rispecchiarsi soltanto in un linguaggio facilmente comprensibile, realista e popolare.  Si trattava in buona sostanza di una contrapposizione ideologica nutrita dei contrasti tra blocco orientale e blocco occidentale e sulla malintesa opinione che solo il realismo potesse espri-mere valori progressisti.

In Italia lo scontro fu prevalentemente ideologico-politico, a differenza di altre nazioni europee. Persino il mondo dei premi artistici del dopoguerra si era schierato dall’una o dall’altra parte. Il Premio Suzzara (1948), ad esempio, aveva cercato di avvicinare il mondo dell’arte a quello del lavoro privilegiando le poetiche neorealiste, all’insegna del moto coniato dall’ideatore del Premio Dino Villani: un vitello per un quadro non abbassa il quadro: innalza il vitello.

Marzia Ratti