(da Ameglia Informa di ottobre 2021)

“Zezzigioa” è una piccola spiaggia a circa 800 metri a nord di Punta Corvo costituita da sabbia grigia nella parte sotto la scogliera e da ghiaia e minuscoli sassi nel resto. È facilmente raggiungibile via mare, ma vi si può arrivare anche scendendo per un ripidissimo sentiero attraverso un bosco che, dapprima si presenta abbastanza agevole ma gradualmente è sempre più accidentato, agevolato solo in parte dalla presenza di una corda da arrampicata.

Dopo pochi metri dalla riva le acque sono già piuttosto alte, il fondale è sassoso, l’acqua limpida. Se oggi è molto amata da bagnanti ed escursionisti, un tempo i nostri avi ne beneficiavano per altre finalità: un po’ lo testimonia questa storia, il resto è lavoro di fantasia….       R.F.

Bisogna arrivare fin sulla rupe marina per trovare quel luogo dove le nostre nonne andavano a pascolare le pecore per assicurare loro delle favolose scorpacciate di succulente piante marittime dall’aspetto lussureggiante.

Le pecore erano lasciate libere di muoversi in ogni dove e potevano anche arrivare fin sulla spiaggia, mentre loro, le nostre nonne, facevano la maglia o raccoglievano fascine di legna da portare a casa.

In quel luogo anni e anni prima era passata una delle prime carovane di asini e muli che partivano da Lerici con grossi orci d’olio e carichi di granaglie, dirette nella vallata del Magra.

Era il periodo in cui in quella piccola cittadina, ma già famoso scalo mercantile, si sperimentavano le prime lavorazioni di prodotti locali in modo più largamente produttivo, tanto da poterne smerciare anche nelle città vicine che ne facevano richiesta.

E siccome in quel territorio abbondavano sia gli olivi sia altri alberi, come il leccio, fu naturale, ad un certo punto, cominciare a lavorare in modo più raffinato e a largo raggio sia le olive sia il legno, per ottenerne olio di qualità e manufatti vari da trasportare alle zone interne.

Per le prime volte evidentemente, furono sbagliati i calcoli se, per arrivare in territorio sarzanese, si fece la strada del mare e quindi si passò anche nella zona marina ai piedi di questa nostra collina.

Ma come fu o come non fu poco importa; quel che importa è… che quella carovana vi passò!

Erano contadini e inservienti di piccoli padroni, quelli che all’alba, di un giorno di inizio primavera, partirono da Lerici dopo aver caricato una mezza dozzina di muli ed asini con pesanti some.

Avevano già attraversato la costa di Tellaro e si erano inoltrati in quel di Montemarcello nel momento della giornata in cui, se ci fosse stato il sole, si sarebbe trovato nel punto più alto… ma quel giorno il sole non c’era; anzi, faceva piuttosto freddo mentre quella processione di uomini e animali transitavano silenziosamente sui sentieri a picco sul mare.

Mentre passavano tra gli arbusti della macchia, le povere bestie, ormai stanche, trovavano a stento la forza di afferrare di scatto qualche boccone d’erba o i frutti selvatici che anche gli accompagnatori raccoglievano e in-filavano nelle bisacce.

Ad un certo punto incominciò ad arrivare dal mare un forte vento di maestrale che si avventò dapprima contro le basse piante della scogliera, che incominciarono ad ondeggiare violentemente e poi salì in alto, verso quei “poveri cristi”, che furono costretti a frenare il loro andare.

Si appoggiarono con la schiena contro i massi più solidi del sentiero, lo sguardo rivolto al mare che poco sotto cominciava a fluttuare.

lumacone o limaccia

All’improvviso una ventata violenta e inaspettata fece barcollare l’asino che stava in fondo alla fila. La povera bestia riuscì a malapena a mantenersi in equilibrio, ma il carico di umide limacce (foto sopra), raccolte con pazienza lungo la strada tra le foglie bagnate, si travasò nel terreno e il carico si disperse.

I carovanieri, sbattuti in qua e in là dalle violente raffiche di vento, non poterono far nulla per salvare neanche una parte di quelle lumache che avrebbero potuto vendere, come apprezzato cibo, al mercato cittadino.

Ma questo pensiero non li rabbuiò più di tanto, perché quel che successe in seguito fu assai peggiore.

Dagli anfratti della scogliera tra i sassi e le radici delle piante, dove fino ad allora erano rimasti immobili, cominciarono ad uscire rapidissimi e voraci una specie di rettili a loro sconosciuti. Lunghi una quarantina di centimetri, con la testa simile a quella delle lucertole, strisciarono intorno ai loro piedi, richiamati dall’odore di quelle lumache che presero subito a divorare.

Orbettino (Anguis fragilis)
 

Erano orbettini (foto sopra), piccoli serpentelli con il corpo coperto da placche lisce e lucenti golosi di ragni, vermi e molluschi che per la velocità dei movimenti e per la rapidità con la quale si avventarono sulle piccole prede, spaventarono a morte quegli intimoriti carovanieri.

Quel temporale improvviso scatenatosi così vicino al mare, che avrebbe potuto  causare danni più gravi e la paura di imbattersi ancora in quella colonia di piccoli rettili dinamici, che sembravano avere il possesso dì quella scogliera, li spinse a trovare altre strade per raggiungere la pianura interna.

E di qui non passarono mai più. Ma come sempre succede la notizia si sparse rapidamente e impressionò molto l’opinione pubblica, anche se in seguito si scoprì che gli orbettini non sono né aggressivi, né velenosi e non mordono mai l’uomo. Quella zona è comunque denominata, ancora oggi, “Zezzìgioa”, perché per i nostri vecchi restò sempre il luogo abitato da nutrite famiglie di orbettini, serpentelli un po’ irascibili, che in dialetto sono conosciuti appunto, con il nome di “zezzìgioa”.

Rosanna Fabiano