(da Ameglia Informa di Luglio 2023)

Commentate da Alberto Scaramuccia

    Dopo oltre un secolo di oblio escono le poesie che Ubaldo Mazzini scrisse in italiano, le più firmandole Gamin, nome d’arte con cui il grande intellettuale spezzino si fece conoscere: Gamin, parola francese che indica il monellaccio impertinente.

Di Lui sono note le poesie in dialetto ma i versi in italiano non hanno meritato stessa sorte anche se pur essi testimoniano la verve e l’abilità compositiva del giovane Ubaldo di cui il prossimo otto luglio ricorre il centenario della scomparsa. Ora le poesie italiane, così neglette che nessuno giudicò degne di una riscoperta, sono disponibili in un agile volume.

“Rime irriverenti – Tra politica, satira e spezzinità” (Ed. Giacché, pag. 160, € 19,90) raccoglie le ventuno poesie scritte in italiano da Ubaldo Mazzini che Alberto Scaramuccia commenta in altrettante schede esaminandone l’aspetto stilistico e chiarendo la genesi ambientale con un’attenta analisi della società spezzina del tempo.

Anche dai componimenti in italiano salta fuori la Spezia di fine Ottocento permettendone di tracciarne la storia, un tema su cui la letteratura locale non ha indugiato come avrebbe dovuto.

Mazzini-Gamin mette alla berlina chiunque gli capiti a tiro: dal cittadino a noi sconosciuto ma allora ben noto per le continue flatulenze che emetteva, al potente di turno davanti al quale, chiunque sia, il Nostro non indietreggia mai continuando imperterrito a rivolgergli incessanti maldicenze.

Ai suoi bersagli Mazzini non risparmia il sarcasmo più becero che tocca l’apice nelle invettive scagliate contro Paita di cui deride impietoso la rozzezza dei modi e la grossolanità della pronuncia. Il grande Sindaco pronunzia le -u come -ü e ogni volta che Mazzini ne dice, fa uscire dalla sua bocca un profluvio di quei suoni. È tanto perfido Gamin che in una poesia, scritta come altre due precedenti sulla falsariga de Il 5 Maggio, inserisce dovunque la ü eccetto che nelle parole che nel dialetto si pronunciano proprio con quel suono.

L’attività giovanile di Mazzini si compì fra le rotative e si svolse soprattutto sotto lo pseudonimo di Gamin.

Il lettore scopriva una presenza diversa ed originale che in fretta produceva il pensiero comune perché uno dei meriti dell’Ubaldo è aver dato voce a ciò che pensavano gli Spezzini che ben presto s’inventarono il neologismo gaminata per indicare qualsiasi azione ribalda, un po’ come la parola zlatanata da poco in auge nello svedese.

Insomma, attraverso le sue poesie colmiamo qualche buco nella conoscenza del nostro passato: operazione importante ché comprendiamo meglio chi siamo sapendo chi siamo stati.

Sandro Fascinelli

Per gentile concessione di Alberto Scaramuccia

pubblichiamo il commento a una delle poesie di “Gamin” contenute nel testo del libro

Fra i più cari dolci lumi

Egli è certo dei più dotti/

in materia di profumi/

dà dei punti al Bertolotti./

Ha inventato uno strumento/

per condurlo fino al mar./

Che è davvero un gran portento,/

una cosa singolar./

L’istrumento ha fatto chiasso/

fra i vicini abitator/

a fra quei che andando a spasso,/

non gradiscono gli odor./

Onde avvenne che accusato/

fu il Comune al tribunal/

di guastare l’odorato/

con profumi … material./

Condannato fu alla spesa/

dopo tanto leticar;/

ma il grand’uom non se l’è presa/

e la seguita a mollar./

La poesia (esce sul La Spezia del 3 gennaio 1891) è anonima ma riconoscibilissima per la penna di Gamin-Ubaldo Mazzini che descrive un personaggio tanto noto allora quanto inidentificabile oggi, che era diventato famoso in città per le flatulenze che imperterrito continuava a emettere ammorbando l’aria, nonostante giri per la Spezia vestito da vero dandy stringendo la sigaretta fra le labbra, come si vede nella caricatura che correda il testo.

Ma Gamin non si limita a mettere alla berlina il tizio, prende in giro anche il lettore. Infatti, il componimento è composto nello schema ultraclassico dell’ode, cinque strofe di quattro ottonari a rima alternata.

Anche in questa scelta si manifesta l’indole di Mazzini che con la spregiudicatezza che gli era congeniale, non manifesta alcun imbarazzo nell’adoperare uno schema stilisticamente così sofisticato ed altisonante per un argomento così meschino e volgare.

È difficile dire quanto i lettori cogliessero la stridente contraddizione fra il contenuto e la forma con cui questo era espresso, ma anche in questo caso si rivela l’indole acuta e creativa di Mazzini.

Alberto Scaramuccia