(da Ameglia Informa di maggio 2018)

Si partiva la domenica mattina di buonora, anche se io avevo ancora tanta voglia di dormire: era estate ed andavamo al mare.

La scogliera che ci aspettava era proprio sotto al paese e per raggiungerla occorreva scendere più di cinquecento scalini di legno: al solo pensiero, cominciavo a lamentarmi. In casa mia erano già pronti i miei genitori e i miei due cugini undicenni, che facevano un chiasso infernale per la frenesia di partire; ultimi arrivavano i miei zii e mia cugina che aveva solo cinque anni. Poi si partiva.

Tra uno sbadiglio e l’altro scendevo gli scalini, in fila indiana con il resto della famiglia invidiando i due maschi che camminavano velocissimi e ridendo di mia cugina che si faceva tenere per mano da sua mamma e si fermava titubante ad ogni scalino.

Dall’alto si godeva un panorama davvero incantevole: boschi, mare e, all’orizzonte, le isole. Quando arrivavamo agli ultimi scalini io ero finalmente completamente sve-glia, o meglio, diventavo decisamente euforica alla sola vista del mare e chiedevo subito di poter fare il bagno.

“Non ancora, sei sudata!”, era la risposta incontestabile dei miei genitori. Bastavano quelle parole, che non mi andavano a genio, a farmi mettere di nuovo il broncio, ma spariva appena ottenuto il permesso.

Ero come un pesciolino, sapevo nuotare sicura, sempre pronta ad inseguire i due maschi che, naturalmente, si coalizzavano contro di me.

I genitori preparavano la tenda tendendola con lo spago a ridosso della scogliera, le mamme sistemavano all’ombra  le borse con il cibo e le bevande, poi si sedevano a chiacchierare sulla battigia o sfogliavano qualche rivista, fino a quando noi bambini cominciavamo a lamentarci: “Ma quando si mangia?”.

Il pranzo consumato in quel luogo diventava qualcosa di speciale, pur trattandosi di cose semplici … uova sode, carne in scatola, tonno, pomodori e frutta.

I genitori consumavano il tutto lentamente accompagnando il pranzo con conversazioni mentre noi scalpitavamo per poter tornare in acqua.

“C’è tempo! Ora state quieti e cercate di dormire”. Sì, dormire!…” Non se ne parlava proprio! Cominciavamo a farci i dispetti, tirandoci i sassolini e finivamo col litigare. A quel punto i genitori, spazientiti ci separavano, relegandoci chi in un angolo chi in un altro, a debita distanza. Tale strategia a volte funzionava e qualcuno si addormentava, lasciando così tranquilli gli altri. Verso le quattro finalmente arrivava il permesso tanto agognato: “Ora potete fare il bagno!”

Fino a quando non avevamo le labbra viola non uscivamo dall’acqua; le povere  mamme ci richiamavano dalla riva con gli asciugamani aperti tra le braccia, pronte ad avvolgerli intorno alle nostre spalle, ma minacciosamente severe: “Quando arriva il babbo glielo dico … e te al mare non ci vieni più!”

Il babbo e lo zio erano sugli scogli a fare i muscoli. A quel tempo non c’era da meravigliarsi se in un’oretta si potevano procurare diversi chili di muscoli e patelle, che in genere la gente del paese consumava direttamente sulla spiaggia all’ora di cena.

Si pulivano i muscoli sugli scogli per privarli di quei duri parassiti che chiamavamo “denti di cane”, poi si preparava il fuoco con pochi rametti secchi: lì sopra, dentro una vecchia pentola di alluminio si cuocevano muscoli, patelle, arnèi…

Mentre cenavamo, piano, piano il sole calava sul mare ed arrivava il tramonto con i suoi splendidi colori che invadevano di un tenue colore rossastro ogni angolo della spiaggia: tutto diventava incredibilmente ancora più bello! A me sembrava di vivere in un luogo incantato e mi veniva voglia di correre in ogni dove, di salire e scendere dagli scogli e di rotolarmi sulla ghiaia tiepida: ero terribilmente felice!

A quell’ora la spiaggia era quasi tutta deserta; restavano solo le tende blu dentro le quali alcune famiglie di paesani si preparavano a trascorrere la notte; un saluto amichevole, poche battute con loro e poi ci  avviavamo su per la salita che portava al paese.

Io guardavo verso l’alto della collina e due considerazioni mi rendevano insopportabile l’idea di dover risalire tutti quei gradini: dover lasciare il mare, che a quell’ora diventava ancora più invitante e dover affrontare la ripida salita.

Mentre tentennavo e mi lamentavo, già all’altezza dei primi gradini, mi arrivava la voce minacciosa della mamma

“Rosanna, ti sbrighi? Se resti ultima… ti mangeranno le volpi e le faine!”

Rosanna Fabiano