(da Lerici In di marzo 2022) e, a seguire (da Lerici in di Aprile 2022)

con rivelazione dell’autore della testimonianza

Lapide a ricordo delle vittime in piazza XIII dicembre a Montemarcello (Ameglia)

Un testimone oculare di Montemarcello ha lasciato un manoscritto con alcune considerazioni e il racconto del bombardamento avvenuto nel paese il 13 dicembre 1944 che causò 47 morti oltre la distruzione del centro abitato.

Solo ora ne è venuto in possesso il nostro parroco don Cesare Giani che lo ha trascritto per noi e l’ha conservato, a futura memoria, nell’archivio parrocchiale.  SF

13 dicembre 1944: bombardamento di Montemarcello

Le incursioni quel giorno furono continue tanto che l’allarme, dato dai soliti due colpi di cannoncino, nella prima incursione verso le sette di mattina, durò tutto il giorno.

Le incursioni furono 23 – gli aerei erano 4 del tipo “Corsair” che sganciavano ognuno due bombe da (500 libbre) 200 Kg. E durante la picchiata sparavano con le mitraglie da 13,2 mm. che avevano sul bordo alare. La 22ª incursione fu fatale per il paese, una strage. I morti furono 47.

Venne colpita la zona del “Lavaccino” proprio dove normalmente ci si rifugiava sotto la volta detta “di Domelò” (vulgo del nome Rossi Domenico proprietario della casa soprastante).

Dove esistevano due o tre piani di case abitate e una osteria detta “Il Dopolavoro” gestita all’epoca da Cabano Ferrero, esisteva ora solo un cumulo di macerie fumanti. Le urla di coloro che, ancora vivi, cercavano di uscire di sotto il tragico cumulo erano impressionanti.

Annottò presto, e fu veramente una notte di tregenda. La luce elettrica non c’era più.

Alla luce di torce, di candele, di stracci unti, coloro che ne erano in grado scavavano e recuperavano i morti e i feriti. Ben presto la chiesa si riempì di cadaveri e tanti di questi ridotti a brandelli, irriconoscibili.

I sopravvissuti ricordano quella notte, la chiesa semibuia ed il sangue che aveva letteralmente allagato il pavimento della chiesa stessa.

Nessuno sapeva più cosa fare. Buona parte degli uomini validi erano chissà dove per il mondo, altri morti sotto le macerie e il resto della popolazione nella più completa indignazione. Senza luce, senz’acqua, senza mezzi di sussistenza di nessun genere…

Nei giorni che seguirono a tale evento, i superstiti cominciarono a spostarsi verso i monti di Tellaro (Zanego) e si installarono alla meglio nelle casette di campagna, certe erano però più che ruderi, si doveva comunque trovare un riparo, eravamo in dicembre e faceva freddo.

Nei momenti (pochi) di pausa la gente veniva in paese per cercare di recuperare qualcosa che potesse servire a sopravvivere.

Furono veramente mesi tremendi, e non c’era tempo di piangere i morti.

L’inverno fu allucinante la fame, il freddo, i morti sepolti in fretta e furia con bare fatte alla meglio, qualcuno fu seppellito in fosse comuni dato che si trovavano pezzi di persone ovunque ai quali era impossibile dare un nome.

Mille furono gli episodi di disperazione, tanti furono anche gli episodi di solidarietà umana, verso coloro che avevano perduto tutto, casa e parenti

Restammo ai monti fino alla fine della guerra, sopravvivemmo come per miracolo, ma anche in quei quattro mesi e mezzo di esilio, dovemmo ripararci, oltre che dal freddo e dalla fame, anche dalle cannonate che cominciarono ad arrivare dal fronte in avvicinamento dalle coste versiliesi.

La V° armata americana saliva lungo lo stivale, i tedeschi si ritiravano verso il nord lasciando dietro di loro morte e rovina.

A Montemarcello fecero esplodere la polveriera in località “La Valle” e la Casa dei Cantonieri anch’essa adibita a deposito di munizioni, completando così la rovina delle case rimaste in piedi.

Lo scoppio fu tale che tutti i tetti delle case del paese volarono via come fogli di carta, così fu delle porte e delle finestre.

L’ aspetto del paese era quello spettrale dei luoghi abbandonati da secoli. Intanto ai monti la gente negli ultimi giorni fu costretta a fuggire anche da quelle misere dimore.

Si cercarono rifugi improvvisati, per qualche giorno si dormì in giro per i boschi. Parte della gente dormì nella grotta del “Monte Garana”, parte nei fortini abbandonati dai tedeschi lungo la strada della Serra.  Eravamo al livello più basso, quello delle bestie selvatiche.

“Una figura per tutte”

Troppo occorrerebbe a descrivere i singoli casi di solidarietà umana, di mutuo soccorso, di abnegazione e di aiuto al prossimo.

La gente divenne più buona e in tanto sfacelo sociale non ci fu un solo caso di egoismo o di avversione verso il prossimo.

Citerei quasi come un simbolo la figura del parroco, don Alfredo Giampaoli. Parroco di Montemarcello.

Appena accaduta la catastrofe fu sulle macerie, dal primo momento; fino a quando fu possibile scavò con le mani quanto poté, ricompose i cadaveri e, assistendo i feriti, li aiutava a superare il tremendo momento prodigandosi in mille modi.

Fu ai monti di Tellaro, e con la madre abitò in una casetta che a vederla oggi sembra impossibile che due persone potessero viverci un intero inverno.

Facile sarebbe stato per lui chiedere aiuto alla Curia e ritirarsi in qualche convento ma non lo fece. Patì con la popolazione il freddo, la fame, gli enormi disagi creati da tale situazione.

Proprio nell’incrocio delle quattro strade vi era un piccolo garage e lì costruì l’altare dove tutte le domeniche diceva messa. Restò sempre con la popolazione fino alla fine della guerra.

La primavera del 1945 nel mese di aprile il giorno 25 – miracolosamente illese – le campane, in mezzo a tante rovine, suonarono a distesa. Forse Nicò (il campanaro Guglielmone Nicola) ce la mise veramente tutta, lui ligio alle regole e ai tempi dei “versetti” suonò così a lungo e dopo tanto silenzio, la voce di quelle campane ridava la vita. A causa di tutto ciò subimmo ancora perdite di vite umane.

I campi intorno al paese erano minati e parecchi furono i morti e i feriti per l’esplosione di quegli oggetti, sia fra la popolazione, sia fra le squadre mandate dall’ Arsenale per rimuovere le mine stesse. Ricominciò lentamente la vita. La gente sgomberava le strade e ricostruiva i tetti delle case.

Tornarono dai campi di prigionia i superstiti e poco a poco la vita ricominciò.

Indelebile è però il ricordo di chi ha vissuto quei momenti e grande è la speranza che mai più avvengano guerre e orrori come quelli descritti.                                                                            P.

(da Lerici In di aprile 2022)

È di Paolo Palumbo il racconto del raid su Montemarcello

Abbiamo ricevuto una e-mail da Francesca Palumbo, figlia di Paolo Palumbo, lo storico vigile urbano amegliese, che sopra vediamo in una foto degli Anni ‘60 assieme al suo collega Danilo Maccioni(a destra), che ci svela chi c’è dietro la  sigla P del racconto che abbiamo pubblicato il mese scorso sul bombardamento di Montemarcello: è di suo papà Paolo.

“Invio le foto del manoscritto che, per caso, Giovanna Muraglia ha ritrovato fra le carte del suocero Ennio Silvestri. La signora ha postato le foto su fb chiedendo se qualcuno conoscesse l’autore. Come si vede è bastato pochissimo, a me e alle mie sorelle, riconoscere la scrittura e la firma di mio padre. Lui poi ci raccontava sempre l’episodio… sapevamo inoltre dell’interesse di Ennio verso le testimonianze sempre ricche di cui mio padre era prodigo…

I due vigili urbani amegliesi degli Anni’60: Paolo Palumbo (a sinistra) e Danilo Maccioni

Su www.amegliainforma.it pubblichiamo anche alcune pagine autografe del racconto.                       SF