a cura di Fabrizio Oliviano Barenco e Rachela Guidarini

(A puntate dall mese di maggio 2021 su Ameglia Informa)

“Erbacce” commestibili di maggio del territorio

Maggio è il mese in cui riusciamo a trovare erbe spontanee ricche di aromi. Hanno un’alta concentrazione di principi attivi e di oli essenziali perché, crescendo spon-taneamente senza innaffiature regolari, devono concentrare le proprie essenze. In queste piante tipiche del clima mediterraneo, proprio perché devono resistere al caldo estivo e al vento di mare, ogni foglia si ricopre di goccioline oleose che vanno a preservare l’i-dratazione interna evitando un’ec-cessiva evaporazione.

Gli oli essenziali sono come il nostro sistema immunitario per la pianta e l’uso in cucina di queste erbe aromatiche aiuta l’uomo a  fortificare il proprio sistema immunitario arricchendosi di molti nutrienti che aiutano anche il benessere psicofisico.

Vediamo cosa troviamo a maggio nel nostro territorio

ERBA ALLIARIA (Alliaria petiolata)

Ama i terreni boschivi e, come si capisce dal nome, il suo aroma e sapore ricorda quello dell’aglio. L’erba alliaria è una pianta spontanea perenne che si raccoglie di solito da maggio in avanti, molto digeribile, delicata e utilizzabile in tanti modi diversi. In cucina, l’alliaria si usa  in tutte le sue parti: i fiori si possono gustare a crudo nelle insalate; i semi per aromatizzare zuppe visto che il loro profumo ricordano quello della senape; le foglie nei panini o per insaporire torte salate .

FINOCCHIETTO SELVATICO (Foeniculum vulgare)

Il finocchietto è usato in cucina come spezia per il suo forte aroma. Si usano soprattutto le foglie, dette volgarmente barbe, e le altri parti morbide.

Altre parti utilizzabili sono i fiori e i semi, infatti queste sono le parti con più alto contenuto di oli essenziali e di anetolo, il composto responsabile del profumo e del gusto tipico del finocchietto, assai dolce e dolcificante, fresco, che ci ricorda l’anice.

Il finocchietto ha molte virtù salutari: è particolarmente indicato nel combattere l’areofagia e i problemi di digestione, in particolare gli spasmi addominali e le coliche d’aria; è inoltre un ottimo antiemetico e antinfiammatorio.

GERMOGLI DI ROVO (Rubus Ulmifolius)

Da non dimenticare trascurare i frutti del rovo, pianta spontanea e perenne che cresce nei terreni incolti e boschi: il rovo ci fornisce le buonissime more, frutto che poi si raccoglie tra agosto e settembre.

I giovani germogli si raccolgono a maggio e sono ottimi anche crudi in insalata.

MELISSA (Melissa officinalis)

Pianta spon-tanea perenne, vive in simbiosi con le api (che ne sono particolarmente ghiotte) e con il sole (l’ape è un animale di sole), la melissa risolleva lo spirito, calma il nervosismo e la depressione. In antichità scrissero che “La melissa dispone la mente e il cuore all’allegria”.

Con l’appellativo di “Melis-se” erano chiamate Sacerdotesse dei misteri di Eleusi e di Efeso, nei cui segretissimi riti si utilizzava il miele per pulire la lingua e le mani degli iniziati, per purificare le loro parole e le loro azioni. La melissa cresce nei pascoli e nei prati umidi e lungo le siepi oggi la melissa viene anche coltivata con ottimi risultati. Le foglie secche di melissa regalano un ottimo aroma ai formaggi, ai funghi, alle insalate, La melissa viene anche utilizzata per preparare tè e birre.

ORIGANO SPONTANEO (Origanum vulgare)

L’origano è una pianta mediterranea; queste piante amano i terreni asciutti  esposti al pieno sole dal Greco (orosganaos: che ama i monti).

Amato per il suo forte aroma, la specie origano contiene oltre cinquanta specie (non tutte utilizzabili in cucina), tra le quali spiccano soprattutto l’origanum volgare e l’origa-num majorana. Ricco di utilissimi fenoli e terpeni, quali il caratteristico carvacrolo, timolo, fellandrene, p-cimene, limonene, cimene e cedrolo, in quantità variabili a seconda del terreno e della coltivazione

Oltre che in cucina, viene usato da sempre in medicina, a cominciare dai trattati di Ippocrate che lo cita come indispensabile per curare problemi alla gola, allo stomaco e alle vie respiratorie.

Ha potenti qualità antiossidanti viene usato anche per conservare gli alimenti,  è prezioso per chi coltiva un orto sinergico: è noto che l’origano ha un’azione repellente verso molti animaletti potenzialmente dannosi per le piante.

ORTICA (Urtica dioica)

Regina della cucina naturale basata sull’uso delle erbe spontanee commestibili, l’ortica si offre alla preparazione di mille piatti e ricette e il periodo migliore per raccoglierla è proprio quello primaverile. Se ne può utilizzare praticamente ogni parte ma in cucina è preferibile servirsi delle cime più fresche e tenere. Essendo un’infestante, la si trova praticamente ovunque, specie nei terreni incolti e umidi e lungo i sentieri. Dai risotti, alle zuppe, fino ad arrivare agli sformati, l’ortica ci stupirà per il suo sapore ricco e aromatico. Unica raccomandazione per la raccolta: munirsi di guanti per evitare spiacevoli incidenti.

Fabrizio Oliviano Barenco

(da Ameglia Informa di giugno 2021)

“Erbacce” commestibili di giugno del territorio

DRAGONCELLO (Artemisia dracunculus)

    Il dragoncello è un’erba dalle proprietà digestive, mol-to nutriente. Le sue foglie sono ricche di antiossidanti tra cui sali minerali e vitamine A e C. Le foglie vengono utilizzate per preparare infusi per stimolare l’appetito, mentre con le radici si possono fare tisane per calmare il mal di gola. È  una pianta perenne, può raggiungere anche l’al-tezza di un metro. Ha fusto eretto e foglie molto lunghe e lanceolate. Ci sono vari tipi di dragoncello, quello volgare dal fusto eretto, mal visto per la caratteristica di invadere l’orto e dal gusto non proprio piacevole; e quello francese dal raffinato aroma, che è quello che si utilizza in cucina, ha un fusto strisciante e quell’inconfondibi-le aroma agrodolce tendente all’anice.

Il dragoncello si riproduce per talea in agosto, tagliando un rametto dalla pianta madre, lo si mette a radicare in un misto di sabbia e torba.

In cucina, il periodo ideale per raccogliere le foglie e i fiori di dragoncello è proprio in estate, a partire da giugno. Il suo odore è molto aromatico e per questo viene utilizzato in cucina come spezia.

Ottimo per aromatizzare verdure crude in insalata, uova e frittate, perfetto per aceti aromatizzati. Si può essiccare, ridurlo in polvere e conservarlo in vasetti.

Quest’erba si può anche utilizzare per insaporire pesce, uova e altri piatti.

BORRAGINE (Borago officinalis)

La borragine è un’erba spontanea, cresce dalla primavera inoltrata e la si può raccogliere fino all’estate (da maggio a settembre).

Il suo habitat è il terreno ricco d’acqua e sostanze nutrienti e per crescere bella e rigogliosa ha bisogno di sole. I suoi bellissimi fiori lilla, le sue foglie di un verde molto intenso, non passano inosservati. Pianta sacra a Giove, è anche una pianta dalle particolarissime virtù, la principale è quella depurativa del sangue e del fegato.

Ha proprietà diuretiche, sudorifere, antinfiammatorie, allevia la tosse.

Sulla pelle arrossata possiamo fare un infuso di borragine e frizionarlo sulla cute come impacco.

In cucina si utilizzano i suoi fiori e le sommità fiorite come ingrediente di risotti, sughi, ripieni e pesti; l’uso tradizionale prevede la cottura delle foglie per fare ripieni, minestroni, frittate, torte e i famosi pansotti liguri. Un altro impiego tipico della borragine consiste nel preparare i fiori oppure le foglie come delle frittelle, passate prima in pastella e poi fritte.

Della borragine si utilizzano i fiori e le sommità: sulle foglie ci sono pareri contrastanti in quanto posseggono alcaloidi pirrolizidinici tossici per il fegato soprattutto se crudo e in quantità notevoli.

MALVA selvatica (Malva sylvestris)

   Questa pianta possiede proprietà antinfiammatorie ed emollienti, utili per proteggere le mucose dagli agenti irritanti, grazie alle mucillagini contenute nei fiori e nelle foglie. Per questa ragione, l’impiego della malva è ideale per contrastare tosse, idratare e alleviare le infiammazioni nel- l’intestino e, sotto forma di infuso filtrato e freddo, per il cavo orale decongestiona le vie aeree e favorisce l’elimi-nazione delle feci: le mucillagini infatti svolgono anche una moderata azione lassativa.

La malva era l’erba ampiamente utilizzata nelle case dei contadini, sia come rimedio naturale per trattare diversi disturbi sia come vegetale da usare in cucina. È possibile impiegare tutte le parti della pianta: foglie, fiori, e radici ma solitamente si preferiscono le foglie e i fiori per preparare decotti, insalate, minestre, zuppe e frittate.

MENTA Piperita (Mentha piperita)

Pianta erbacea perenne e infestante che cresce un po’ ovunque prediligendo terreni umidi e paludosi, la menta, non quella piperita ma sempre di menta stiamo parlando, era ben conosciuta anche alla medicina cinese che la impiegava per le sue proprietà diuretiche, digestive, e anche come afrodisiaco naturale. Della menta si utilizzano le foglie e le estremità fiorite da raccogliere d’estate.

In cucina la menta è ottima per integrare insalate di cetrioli e pomodori, per aromatizzare formaggi freschi, salse crude, pesti e frittate, in particolare è ottima la frittata di zucchine e menta.

Il suo aroma fresco è adatto anche nella preparazione di acque rinfrescanti, bibite, sciroppi e gelati fatti in casa, non ultimo il suo uso massiccio nei cocktail Moijto J.

Fabrizio Oliviano Barenco

(da Ameglia Informa di luglio 2021)

“Erbacce” commestibili di luglio del territorio

Il SAMBUCUS Nigra

Lo spumante di sambuco veniva chiamato anche “spumante dei poveri” visto che un tempo veniva preparato dalle famiglie meno abbienti. Fresco, leggero, agrumato è un buon dissetante per le calde giornate estive. Oggi lo spumante di sambuco ha tutto il sapore della scoperta di vecchie ricette e tradizioni; in questo periodo, da aprile a giugno, secondo le regioni e le temperature della stagione, le piante del sambuco cominciano a fiorire ed è il momento di cogliere i fiori e preparare questa bevanda fresca e dal grado alcolico molto contenuto: è perfetto anche come aperitivo

Attenzione al momento della raccolta!

I fiori da raccogliere sono quelli del Sambucus nigra, che è il primo a fiorire, da non confondere con il Sambucus ebulus, che invece è tossico!

Raccogliete solo se siete sicuri, affidatevi a qualcuno che vi sappia consigliare. È fondamentale imparare a distinguere il Sambucus nigra, la varietà “buona” e commestibile, dal Sambucus Ebulus che invece è tossico.

Per praticità queste due varietà vengono spesso chiamate Sambuco e la secondaEbbio. I tratti distintivi del-le due piante possono essere riconosciuti osservando: la struttura della pianta, il fusto, i fiori e i frutti.

La struttura

Il Sambuco è una pianta che può raggiungere un’altezza fino a 5-6 metri. L’Ebbio invece può crescere al massimo 150 cm, senza ramificarsi o raggiungere le dimensioni del Sambuco. Notate che il Sambuco sviluppa tante diverse infiorescenze in tanti punti della pianta, l’Ebbio invece avrà solo una o più infiorescenze solo nella parte alta della pianta.

Il fusto

Il fusto del Sambuco è legnoso, ha una corteccia grigio-bruna con tanti piccoli puntini, ramificato già dalla base. L’Ebbio ha solo il fusto centrale verde, piuttosto spesso.

I fiori

Nel Sambuco le infiorescenze sono raggruppate in ombrelli, di solito molto grandi; i fiori sono piccoli, bianchi, con qualche dettaglio tendente al giallino. Anche l’Ebbio ha un’infiore-scenza a ombrello, ma di solito è ovale più che circolare; i fiorellini sono leggermente più grandi e soprattutto è facile distinguere al loro interno dei dettagli rosa-violetti, assenti nei fiori del Sambuco.

I frutti

I frutti presentano una differenza marcata. Mentre nel Sambuco i grappoli di bacche nero-violetto, presenti intorno a tutta la pianta, ricadono verso il basso, nel- l’Ebbio rimangono al centro della pianta, rivolti verso l’alto.

Lo “champagne” dei poveri

Ingredienti:

4/5 Litri di acqua,

due limoni da spremere,

un limone bio,

450g. di zucchero,

otto rami di sambuco

Materiale occorrente:

un contenitore con imboccatura larga,

bottiglie da spumante da 1 litro,

filtro o panno a trama fine,

tappi da spumante e gabbiette metalliche per i tappi.

Utilizzate bottiglie di recupero, meglio se di precedenti vini spumanti.

Le bottiglie devono essere di vetro spesso altrimenti potrebbero non resistere alla pressione sviluppata dal gas dello spumante.

Preparazione

Versate l’acqua e lo zucchero nel contenitore e fate sciogliere lo zucchero. Potete anche scaldare l’acqua per far sciogliere prima lo zucchero ma poi dovrete attendere che si raffreddi completamente prima di procedere.

Spremete i 2 limoni e aggiun-gete il succo allo sciroppo di acqua e zucchero.

Tagliate il limone biologico a fettine molto sottili e unitelo al composto.

Staccate i fiori di Sambuco dallo stelo, togliendo quanto più stelo possibile,

Coprite il contenitore con  un panno e mettetelo per 24 ore in un luogo caldo o esposto al sole.

Passato il primo giorno mescolate piano piano.

Dopo 24 ore di macerazione filtrate con un panno a trama molto fitta e riempite le bottiglie e inserite un tappo di quelli di plastica bianca, (fino al primo anello) e mettere le apposite gabbiette metalliche. Lasciate circa 4 dita dal tappo per evitare che la pressione possa spaccare la bottiglia.

Passate 24 ore aprite delicatamente il tappo, dovreste sentire una fuoriuscita di gas… questo sta a significare che è iniziato il processo di fermentazione.

(Un mio personalissimo trucco: in ogni bottiglia inserite un chicco di orzo…)

Rimettete i tappi al loro posto chiudendo completamente e mettete la gabbietta ben stretta. Conserviamo le bottiglia in un luogo ben fresco magari in cantina.

Questo spumante si può assaggiare dopo una quindicina di giorni anche se il suo massimo si ottiene dopo un mese. Se ben stoccato in cantina si conserva per 4 o 5 mesi.

Consiglio: gustatelo ben fresco, tenetelo in frigo qualche ora e, al momento di servirlo, potete aggiungere una fetta di arancia o una fragola tagliata a metà.

NOTA: Si ricorda che prima di mangiare le erbe selvatiche commestibili bisogna sempre essere sicuri che la pianta raccolta sia quella giusta. Inoltre si raccomanda di raccogliere le erbe commestibili lontano da strade trafficate, da aree industriali o zone coltivate che potrebbero essere contaminate da pesticidi o erbicidi.

Fabrizio Oliviano Barenco

Operatore Olistico e Floriterapeuta ad Ameglia

Le informazioni e le tecniche proposte nei miei articoli pubblicati su “Ameglia Informa”   hanno scopo esclusivamente informativo e divulgativo. Al sottoscritto non può essere attribuita nessuna responsabilità per eventuali conseguenze derivanti da un uso delle stesse diverso da quello meramente informativo.

Per ulteriori informazioni : Ass.ne  IL TOCCO dell’ANIMA –  Via Pisanello 57 Ameglia – E-mail:  info@iltoccoellanima.com

(da Ameglia Informa di agosto e settembre 2021)

Piante velenose selvatiche: riconoscimento e precauzioni

Le piante velenose sono presenti in natura e si trovano in abbondanza anche nel nostro territorio. Proprio per questo diventa importante riconoscerle e osservare le dovute precauzioni.

Abbiamo già scritto di tante piante spontanee e selvatiche con proprietà benefiche. Molte di queste sono commestibili o utili per particolari preparazioni. Tra le più conosciute e amate dagli appassionati ricordiamo: l’iperico, il tarassaco, la malva selvatica, laportulaca, la borragine.

In questo numero scrivo, però, qualcosa su quali sono le più diffuse e pericolose piante velenose distribuite sul territorio. Proviamo a riconoscerle e scopriamo, inoltre, quali sono gli effetti nocivi e tossici che possono provocare in caso di ingestione.

ACONITO napello (Aconitum napellus)

È una pianta velenosa erbacea, perenne, appartenente alla famiglia delle Rancunculaceae. È  alta dai 50 cm ai due metri ed è una pianta rizomatosa, ossia che porta le proprie gemme in posizione sotterranea. Ha una forma eretta, con un fusto robusto, di colore verde e poco ramificato. Presenta due tipi di foglie. Quelle basali, di colore verde scuro nella pagina superiore e biancastre nella pagina inferiore. Queste hanno la lamina fogliare liscia, con forma lanceolata, poi ci sono le foglie cauline, di dimensioni più piccole, con lamina incisa e lobi più stretti. Il suo fiore è a forma di spiga, con fiori viola.

I rischi dell’aconito napello:

Questa pianta è molto velenosa, in antichità veniva usata per scopi omicidi. In caso d’ingestione provoca entro 30 minuti parestesia, associata a formicolio del cavo orale. Poi i sintomi si evolvono provocando un effetto anestetizzante, debolezza muscolare, insufficienza respiratoria, fibrillazione car-diaca. Contiene diversi al-caloidi tossici, tra cui l’a-conitina, uno dei più potenti veleni vegetali. Questo alcaloide agisce sui canali del sodio, mantenendoli aperti, e quindi provocando arresto cardiaco, Bastano pochi grammi della pianta per rischiare la morte.

I suoi principi attivi vengono assorbiti molto facilmente dalla pelle, dunque anche il semplice contatto può provocare gravi disturbi. Non esistono antidoti specifici, quindi, se la riconoscete statene alla larga.

Nelle nostre zone è abbastanza comune lungo l’ap-pennino e le Apuane, in boschi, prati e pascoli, dai 600 metri di altitudine.

AGRIFOGLIO (Ilex aquifolium)

Un’altra specie molto conosciuta e tossica per l’uomo è l’agrifoglio (Ilex aquifolium), noto come alloro spinoso o pungitopo. Si tratta di una pianta velenosa appartenente alla famiglia delle Aquifoliaceae. Può raggiungere una altezza anche di 10 metri e ha la chioma a forma piramidale. È dotata di una corteccia liscia, di colore grigio e rami verdastri. Le foglie sono verdi, scure e lucenti, con margini spinosi. I fiori sono bianchi o rosati, riuniti in piccoli fascetti ascellari.

I frutti, che maturano nei mesi invernali, sono delle bacche di color rosso vivo.

L’agrifoglio è spontaneo e si trova dappertutto nelle nostre zone.

Essendo una pianta legata alla tradizione del Natale, viene inoltre coltivato in vivaio per scopi decorativi .

I rischi dell’agrifoglio:

I bambini, attratti in maniera naturale dalle colorate bacche rosse. La sua tossicità è dovuta alla presenza di saponine nelle bacche, ma ha anche tracce di teobromina, ilicina e ilixantina.

In caso d’ingestione delle bacche i sintomi sono gastrointestinali: nausea, vomito e diarrea. Iniziano a comparire dopo aver mangiato almeno 2-3 bacche.

Fortunatamente non è una specie mortale.

BELLADONNA (Atropa belladonna)

La belladonna è una pianta appartenente alla famiglia delle Solanaceae. Fa parte di quell’insieme di piante velenose di tipo perenne. Ha un rizoma da cui diparte un fusto ramificato, che può arrivare fino a 2 due metri di altezza.

Le foglie sono semplici, dotate di picciolo, di forma ovale – lanceolata. Ha un odore sgradevole, causato da numerosi peli presenti sia nel fusto che sulle foglie. Questa pianta velenosa fiorisce in estate.

I fiori hanno una forma a campana viola scuro.

I frutti, bacche nere e lucide di piccole dimensioni e rappresentano un rischio di avvelenamento per l’uomo. Hanno infatti un aspetto invitante e addirittura un sapore gradevole.

I rischi della belladonna:

L’ingestione dei frutti provoca una grave iniziale diminuzione della sensibilità. A questa si aggiungono problemi a livello psicotico e una grande sete seguita da vomito. In caso di avvelenamento grave si presentano convulsioni, disturbi cardiocircolatori, paralisi respiratoria e quindi morte. Questi effetti sono dovuti alla presenza di alcaloidi come l’atropina, la scopolamina e l’iosciamina, che la pianta sintetizza nelle sue radici per poi trasferirsi nel resto della pianta, specie nei frutti.                 

La cicuta maggiore (Conium maculatum):

È una tra le piante in assoluto più velenose, erbacea appartenente alla famiglia delle Apiaceae. Questa pianta, nota anche come cicuta, ha una grossa radice di colore bianco. Si riconosce con facilità, anche per via del suo odore sgradevole, che ricorda l’urina del gatto, specie quando il fusto viene spezzato. Il fusto può raggiungere anche i due metri di altezza ed è segnato per tutta la sua lunghezza da macchie color rosso. Le foglie sono grandi, in media 50 cm di lunghezza e 40 di larghezza. La loro forma è triangolare, e sono suddivise al loro interno in tante piccole foglioline. I fiori sono di colore bianco. Il periodo di fioritura è compreso tra i mesi di aprile e agosto.

È una pianta velenosa molto comune nelle nostre campagne. Predilige i luoghi più freschi, ad esempio i bordi delle siepi o dei boschi, e nei pressi dei corsi d’acqua. Nella Grecia antica veniva usata per dare la morte tramite avvelenamento. La più illustre vittima da avvelenamento fu Socrate.

lattuga velenosa

(Lactuca virosa)

È un’erbacea appartenente alla famiglia botanica delle Asteraceae. Consideriamola come una parente non commestibile della Lactuca sativa, la classica lattuga. Assomiglia moltissimo alla specie commestibile, anche se è molto più ispida e può arrivare fino ad un metro di altezza. È una pianta velenosa molto diffusa nei terreni incolti. La si trova anche lungo i vecchi muri e ai margini delle strade, dalla pianura fino ai 500 metri di quota. La tossicità è dovuta al lattice bianco e amaro, contenuto nelle parti aeree della pianta. Questo lattice è composto da lactucina e lactucopicrina, molto tossici per l’uomo.

Nei tempi antichi  questo lattice veniva essiccato e usato in medicina come sedativo, sostituto dell’oppio.

Oleandro

(Nerium oleander) oleandro.jpg

È un arbusto appartenente alla famiglia delle Apocinaceae. Sempreverde, con elevato sviluppo vegetativo, tipico delle nostre zone. Lo ritroviamo infatti come pianta ornamentale. Per riconoscerlo basta guardare le sue tipiche foglie lanceolate di consistenza coriacea e colore verde scuro. Inconfondibile è inoltre l’evidente e bellissima fioritura, con fiori di colorazione variabile, bianchi, rosa o rossi. La sua tossicità, deriva dal contenuto di un’elevata quantità di glicosidi cardiaci, molto velenosi.

Il principio attivo tossico si chiama oleandrina, che tra l’altro riesce a conservare un’ottima stabilità nel terreno, essendo rilevabile anche diversi mesi dopo la caduta delle foglie. Non avendo bacche, il rischio d’avvelenamen-to da oleandro è piuttosto basso.

Anche perché la pianta contiene saponine, che in caso d’ingestione favoriscono il vomito e quindi l’elimina-zione delle parti ingerite. Oltretutto, il suo sapore molto amaro non invita all’inge-stione. Attenzione comunque ai bambini, che sono sempre a rischio per la loro abitudine di ingerire qualsiasi cosa.

La Digitale

(Digitalis purpurea)

Da ammirare ma non toccare… La pianta, così chiamata per la forma dei fiori che ricordano i ditali per cucire, contiene un potente componente velenoso, la digitossina, capace di far cessare il battito cardiaco. La credenza popolare ritiene la specie il principale ingrediente usato dalle streghe per realizzare le pozioni mortali. La medicina moderna ha invece sfruttato la digitossina per realizzare farmaci capaci di controllare gli squilibri cardiaci.

la Digitale

Naturalmente il  mio elenco non può essere esaustivo. 

Se siete interessati all’argomento e volete approfondire, posso consigliarvi l’ottimo libro: Le piante tossiche velenose di Gilberto Bulgarelli e Sergio Flamigni

Se qualcuno può darmi una mano nell’indicarmi nomi locali dialettali delle piante, sarà molto gradito.

Rachela Guidarini

Naturopata, operatore olistico e Floriterapeuta ad Ameglia

Le informazioni e le tecniche proposte nei miei articoli pubblicati su “Ameglia Informa”   hanno scopo esclusivamente informativo e divulgativo ed essendo prodotti fitoterapeutici non possono sostituire l’azione di un farmaco o cure mediche in atto, perciò è smpre necessario consultare il proprio medico prima di assumere questi preparati. Alla sottoscritta non puo’ essere attribuita nessuna responsabilità per eventuali conseguenze derivanti da un uso delle stesse diverso da quello meramente informativo. Per ulteriori info: Ass.ne IL TOCCO dell’ANIMA – Via Pisanello 57 Ameglia – E-mail: info@iltoccoellanima.com