(da Ameglia Informa di settembre e ottobre 2025)

A ottocento anni dal Cantico delle creature di San Francesco d’Assisi, il 7 agosto scorso a Nicola di Luni, ci siamo trovati a celebrare l’emozione collettiva della gioia attraverso la lettura ed il commento dell’Enciclica Laudato sì di Papa Francesco.

La nostra riflessione prende le mosse dall’incon-tro precedente dedicato al tema della paura quale emozione collettiva che caratterizza il mondo contemporaneo, e cerca di dare risposte ai pensieri emersi in quell’occasio-ne, confortati dalla deliziosa ospitalità del cortile panoramico del professor Sergio Manghi e dal canto armonico delle sorelle cicale che fa da sfondo al nostro sentire collettivo.

Francesco d’Assisi: Il Cantico delle creature

Altissimu, onnipotente, bon Signore, tue so’ le laude, la gloria e l’honore et onne benedictione. Ad te solo, Altissimu, se konfàno et nullu homo ène dignu te mentovare.

Laudato sie, mi’ Signore, cum tucte le tue creature, spetialmente messor lo frate sole, lo qual è iorno, et allumini noi per lui; et ellu è bellu e radiante cum grande splendore: de te,

Altissimo, porta significatione. Laudato si’, mi’ Signore, per sora luna e le stelle: in celu l’ài formate clarite et pretiose et belle.

Laudato si’, mi’ Signore, per frate vento et per aere et nubilo et sereno et onne tempo, per lo quale a le tue creature dài sustentamento.

Laudato si’, mi’ Signore, per sor’aqua, la quale è multo utile et humile et pretiosa et casta. Laudato si’, mi’ Signore, per frate focu, per lo quale ennallumini la nocte, et ello è bello et iocundo et robustoso et forte.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra matre terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba.

Laudato si’, mi’ Signore, per quelli ke perdonano per lo tuo amore, et sostengo infirmitate et tribulatione.

Beati quelli che ‘l sosterrano in pace, ca da te, Altissimo, sirano incoronati.

Laudato si’, mi’ Signore, per sora nostra morte corporale, da la quale nullu homo vivente pò scappare: guai a quelli che morrano ne le peccata mortali.

Beati quelli che trovarà ne le tue santissime voluntati, ka la morte secunda no ‘l farrà male.

Laudate et benedicete mi’ Signore et ringratiate et serviateli cum grande humilitate.

fine Cantico

Chiara Bertani con Emanuela Biso che legge il Cantico delle Creature tra i canti delle cicale
 

Di fronte all’emergere degli interrogativi sorti dalla riflessione dialogica sull’emo-zione della paura, quale strada intraprendere per trovare risposte o sentieri da percorrere? Ecco che il nostro cammino si concentra sull’emozione della gioia, capace di contrastare quella della paura. Ma di quale gioia parliamo in questo contesto? È la gioia cantata dal poverello di Assisi che nel suo Cantico, ormai ottocento anni fa, ha voluto levare la lode delle creature di fronte al creato quando avverte con stupore di essere parte di quel tutto cosmico e armonico che lascia intravedere le tracce del Creatore. Proprio a quell’emozione di gioia ha guardato Papa Francesco quando, il 24 Maggio 2015, ci ha donato la Lettera Enciclica Laudato sì, sulla cura della casa comune. Un’enciclica che porta già nel titolo l’omaggio al Santo di Assisi, a cui Francesco ha guardato con ispirazione fin dalla sua elezione al soglio pontificio con la scelta del nome.

Un Papato, il suo, che si è ispirato a san Francesco non solo nella predilezione per i poveri e i fragili, gli «scarti» del nostro tempo, ma anche per l’attenzione al dialogo interreligioso ed alla questione sociale ecologica del rispetto e della custodia della casa comune, dono da conservare, custodire e consegnare alle generazioni successive.

È Francesco stesso a ricordarci nell’incipit della sua lettera enciclica la sua fonte di ispirazione, quando esordisce rievocando: «Laudato si’, mi’ Signore», cantava san Francesco d’Assisi. In questo bel cantico ci ricordava che la nostra casa comune è anche come una sorella, con la quale condividiamo lesistenza, e come una madre bella che ci accoglie tra le sue braccia: «Laudato si, mi Signore, per sora nostra matre Terra, la quale ne sustenta et governa, et produce diversi fructi con coloriti flori et herba» (num. 1). Questa nostra sorella, grida il Papa, oggi soffre e protesta per il male che le provochiamo «a causa delluso irresponsabile e dellabuso dei beni che Dio ha posto in lei. Siamo infatti cresciuti pensando che eravamo suoi proprietari e dominatori, autorizzati a saccheggiarla.

La violenza che c’è nel cuore umano ferito dal peccato si manifesta anche nei sintomi di malattia che avvertiamo nel suolo, nellacqua, nellaria e negli esseri viventi. Per questo, fra i poveri più abbandonati e maltrattati, c’è la nostra oppressa e devastata terra, che «geme e soffre le doglie del parto» (Rm 8,22). [Abbiamo dimenticato] che noi stessi siamo terra (cfr Gen 2,7). Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta, la sua aria è quella che ci dà il respiro e la sua acqua ci vivifica e ristora» (num. 2). Immersi in un cosmo di cui, con lo sguardo di Francesco, avvertiamo di essere parte, con questa nuova consapevolezza, non possiamo fare altro allora che essere presi dalla meraviglia per ciò vediamo e viviamo e alzare la lode di chi è travolto dalla gioia di sentirsi immerso in una comunione di relazioni che si estendono alle persone, agli animali, alla natura, a Dio. È la gioia collettiva cantata da San Francesco, capace di affrontare e dialogare con la paura: la gioia  dell’uomo, sia egli credente o non credente, di sapersi parte del vivente.

Ci ricorda infatti Francesco: «Non voglio procedere in questa Enciclica senza ricorrere a un esempio bello e motivante. Ho preso il suo nome come guida e come ispirazione nel momento della mia elezione a Vescovo di Roma. Credo che Francesco sia lesempio per eccellenza della cura per ciò che è debole e di una ecologia integrale, vissuta con gioia e autenticità. È il santo patrono di tutti quelli che studiano e lavorano nel campo dell’ecologia, amato anche da molti che non sono cristiani.

Egli manifestò unatten-zione particolare verso la creazione di Dio e verso i più poveri e abbandonati. Amava ed era amato per la sua gioia, la sua dedizione generosa, il suo cuore universale.

Era un mistico e un pellegrino che viveva con semplicità e in una meravigliosa armonia con Dio, con gli altri, con la natura e con se stesso. In lui si riscontra fino a che punto sono inseparabili la preoccupazione per la natura, la giustizia verso i poveri, l’impegno nella società e la pace interiore» (num. 10).   

(segue)

Chiara Bertani

(Da Ameglia Informa di ottobre 2025)

San Francesco d’Assisi da Chiesa di Milano

Questa gioia, cantata dai due Francesco, che travolge l’umano quando avverte di essere immerso in una rete di relazioni che costituisce il nostro cosmo, genera un approccio al reale consapevole che il cosmo può essere colto solo dallo sguardo della complessità proprio di quella che il Papa definisce «ecologia integrale»: «La testimonianza [di san Francesco] ci mostra anche che l’ecologia integrale richiede apertura verso categorie che trascendono il linguaggio delle scienze esatte o della biologia e ci collegano con l’essenza dell’umano.

Così come succede quando ci innamoriamo di una persona, ogni volta che Francesco guardava il sole, la luna, gli animali più piccoli, la sua reazione era cantare, coinvolgendo nella sua lode tutte le altre creature. Egli entrava in comunicazione con tutto il creato, e predicava persino ai fiori e «li invitava a lodare e amare Iddio, come esseri dotati di ragione. La sua reazione era molto più che un apprezzamento intellettuale o un calcolo economico, perché per lui qualsiasi creatura era una sorella, unita a lui con vincoli di affetto.

Per questo si sentiva chiamato a prendersi cura di tutto ciò che esiste. Il suo discepolo san Bonaventura narrava che lui, considerando che tutte le cose hanno un’origine comune, si sentiva ricolmo di pietà ancora maggiore e chiamava le creature, per quanto piccole, con il nome di fratello o sorella. Questa convinzione non può essere disprezzata come un romanticismo irrazionale, perché influisce sulle scelte che determinano il nostro comportamento. Se noi ci accostiamo alla natura e all’ambiente senza questa apertura allo stupore e alla meraviglia, se non parliamo più il linguaggio della fraternità e della bellezza nella nostra relazione con il mondo, i nostri atteggiamenti saranno quelli del dominatore, del consumatore o del mero sfruttatore delle risorse naturali, incapace di porre un limite ai suoi interessi immediati.

Viceversa, se noi ci sentiamo intimamente uniti a tutto ciò che esiste, la sobrietà e la cura scaturiranno in maniera spontanea.

La povertà e l’austerità di san Francesco non erano un ascetismo solamente esteriore, ma qualcosa di più radicale: una rinuncia a fare della realtà un mero oggetto di uso e di dominio.» (num. 11)

È forse questo il messaggio più autentico del cristianesimo: la gioia di percepire e vivere la comunione con le creature. Le stesse Scritture, ci ricorda Papa Francesco, svelano l’origi-ne dell’uomo, Adam cioè il terrestre, in relazione con la terra, in ebraico adamà, da cui proviene e da cui non può essere separato, pena perdere il proprio senso e la propria essenza.

Lo stesso san Francesco, fedele alla Scrittura, proponeva di riconoscere la natura «come uno splendido libro nel quale Dio ci parla e ci trasmette qualcosa della sua bellezza e della sua bontà: Difatti dalla grandezza e bellezza delle creature per analogia si contempla il loro autore (Sap 13,5) e la sua eterna potenza e divinità vengono contemplate e comprese dalla creazione del mondo attraverso le opere da lui compiute (Rm 1,20).

Per questo chiedeva che nel convento si lasciasse sempre una parte dellorto non coltivata, perché vi crescessero le erbe selvatiche, in modo che quanti le avrebbero ammirate potessero elevare il pensiero a Dio, autore di tanta bellezza. Il mondo è qualcosa di più che un problema da risolvere, è un mistero gaudioso che contempliamo nella letizia e nella lode» (num. 12).

I due Francesco ci insegnano così che il mondo è un mistero, «mistero d’amo-re», perché si svela e si coglie quando facciamo nostro quel-lo sguardo d’amore che solo può consentire di percepire la terra e le creature come dono ricevuto, dono da custodire e consegnare all’al-tro, chiunque esso sia, credente e non credente, perché fratello che quel dono condivide insieme a noi.        (fine)

Chiara Bertani